Velocità e oblio. Il rischio di dimenticare tutto. Anche il valore della musica.
Viviamo in un’epoca in cui la fruizione musicale è diventata istantanea, algoritmica e superficiale.
Skip, play veloci, brani da 1 minuto.
 Ma nel diritto come nell’arte, ciò che ha valore è ciò che resta.
Il rischio, per chi produce e tutela musica, è triplice:
🔸 Si svilisce il tempo creativo necessario per comporre un’opera originale.
🔸 Si annulla la profondità dell’esperienza d’ascolto, trasformando l’opera in contenuto volatile.
🔸 E si rischia di diventare cibo per l’Intelligenza Artificiale, consegnando all’automazione non solo lo stile, ma la sostanza stessa della nostra identità artistica.
Chi crea oggi è chiamato a giocare una partita difficile:
non adattarsi ciecamente al gioco dell’AI e della velocità ma trovare un equilibrio tra innovazione ed etica, tra la spinta tecnologica e la tutela dell’umano, tra il tempo che corre e il valore che resta.
Come avvocato specializzato in musica e proprietà intellettuale, credo che la sfida più grande oggi sia contrattualizzare la lentezza, difendere la memoria, rivalutare la noia creativa.
Perché la musica non è un contenuto.
È un’opera.
E un’opera ha bisogno di tempo. Di memoria. Di rispetto.
La vera rivoluzione?
Fermarsi.
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